Un concerto del duo pianistico Cosimo Colazzo e Maria Rosa Corbolini al Festival Eterotopie di Mantova. Domenica 23 giugno alle 11.30 al Palazzo di San Sebastiano.

23 Giugno 2013
11:30a13:00

Il concerto si tiene nell’ambito di un festival, come Eterotopie, curioso di aprire prospettive e letture intorno ad alcuni spunti tematici, e di intrecciare rapporti tra musica e altre dimensioni artistiche. Nell’edizione 2013 il tema rilevante del festival (che si svolge a Mantova dal 21 al 30 giugno) è quello del mito. Il concerto di Cosimo Colazzo e Maria Rosa Corbolini, docenti al Conservatorio di musica “Bonporti” di Trento, reca il titolo “Il mito oscuro meridiano”. Si tiene domenica 23 giugno alle ore 11.30 al Palazzo di San Sebastiano a Mantova. Attraverso le musiche di Massetti, Colazzo, Lopes-Graça, Casella e Ligeti, il concerto del duo indaga ricerche del ‘900 e attuali volte ad allargare il senso del suono e del tempo musicale, verso dimensioni altre, fatte di una materialità scura e profonda, o anche di visioni trasparenti e lucide, o del senso dell’attesa e dell’incanto.

Cosimo Colazzo e Maria Rosa Corbolini sono protagonisti nella forma del duo pianistico per pianoforte a quattro mani e per due pianoforti, al Festival “Eterotopie | altri luoghi”, che si svolge a Mantova (dal 21 al 30 giugno), in un concerto che reca il titolo “Il mito oscuro meridiano” e si inquadra in un più ampio interesse del festival, nell’edizione 2013, rivolto al tema del mito.

Mito oscuro, come richiamo alla dimensione ctonia e profonda del mito, inesauribile e originaria, attrattiva come abisso indistinto. Mito anche come visione meridiana e trasparente delle cose. Il mito può essere altalenante tra opposte polarità. E il programma del concerto vuole proprio dare rappresentazione di uno spettro di significati che si propone nel senso dello scuro profondo, della materialità che avvolge tutto nelle sue spire, o anche della trasparenza, della lucidità, dell’angolo retto, della sospensione e dell’incanto.

Il programma del concerto, che si tiene domenica prossima 23 giugno alle ore 11.30 a Palazzo San Sebastiano, propone musiche del ‘900 e contemporanee. Sono proposte, con il programma, alcune opere di Valentina Massetti e di Cosimo Colazzo. Insieme con opere di Alfredo Casella, Fernando Lopes-Graça, Gyorgy Ligeti.

Di Valentina Massetti (1984), il duo propone un’opera fatta di atmosfere silenti e sospese, di un gioco percettivo che si rivolge alle possibilità evocative del vuoto. Massetti, di cui viene eseguito il brano dal titolo Linee sospese (2013) per pianoforte a quattro mani, è una giovane compositrice trentina. Diplomata in Contrabbasso al Conservatorio di Trento, in Didattica della musica al Conservatorio di Venezia, laureata in Musicologia all’Università Ca’ Foscari, attualmente sta concludendo gli studi di composizione al Conservatorio di Trento. Ha sviluppato un suo linguaggio, che si distingue nel senso dell’uso di materiali estremamente ridotti ed essenziali, atti a generare, insieme con il silenzio che li circonda, un senso intimo dell’espressività.

Di Cosimo Colazzo (1964) sono in programma alcune opere che esprimono il gusto, che è proprio del compositore, per una forma che può deviare, differire il suo corso, evidenziando il momento, l’evento nella sua propria liricità, nella  sua risonanza. Nelle opere comprese nel programma, da Stanze (1997/2013) per pianoforte a quattro mani, a Preludes (1988/2011) per due pianoforti, al più recente La piega il respiro (opera del 2013, nell’occasione in prima assoluta) per pianoforte a quattro mani, si produce il senso dello stare incantati nell’attesa, nel trascorrere del tempo, che è risonanza, memoria. Il tempo non è misura ordinata, è piega e deviazione, flusso, deflusso e respiro.

Il concerto propone, inoltre, la figura significativa di Alfredo Casella (1983-1947), autore di forte personalità, che rivela un infallibile gusto per la dissonanza, il trattamento espressivo dei materiali e la passione per la ritmica incisiva.  La musica di Alfredo Casella, con Pagine di guerra (1915), parla in termini duri e dissonanti, della materia orribile della guerra. Certo indulgere al tratto d’immagine è subito compensato da un senso asciutto della dissonanza e del ritmo. Come in Pupazzetti (1915), che asciuga, con il senso del gioco e dell’ironia, ogni retorica sentimentale. Forme e geometrie in evidenza. Il tutto netto, trasparente, preciso, meridiano nella misura precisa di ogni relazione.

Gyorgy Ligeti (1923-2006) è molto persuasivo, con i suoi Cinque pezzi (1942-1950), nella volontà di trovare un linguaggio preciso e articolato, che propone alcuni richiami, in certi casi, rispetto al senso della musica popolare ungherese, con il suo senso acceso del ritmo, con la sua modalità così eccentrica. Si tratta di una serie di opere brevi, che fanno parte della produzione giovanile di Ligeti, e che sono rivelative di una passione dell’autore per i materiali fatti di tagli formali recisi, di atmosfere nette, del piacere per il gioco ritmico spiazzante.

Nel programma sono infine presenti due opere per due pianoforti di Fernando Lopes-Graça (1906-1994), autore portoghese che ha realizzato una vasta opera, tutta rivolta all’Europa della ricerca e dell’impegno per il rinnovamento dei linguaggi.  Lopes-Graça ha subito la persecuzione del regime fascista  salazariano. E’ un autore che troviamo da subito fortemente proiettato in direzione europea, con il suo linguaggio compositivo, che può richiamare in certi aspetti Bartók, o Stravinskij, o Hindemith. Nella sua musica ritroviamo talento, cultura, tecnica e metodo. Il concerto propone Prelúdio, Cena e Dança (1929/1973) un’opera che evidenzia un profilo sempre molto geometrico. E Paris 1937 (1937/1968), dove c’è il senso percussivo del pianoforte, il gusto della dissonanza materica, insieme con il gioco che apre all’intrusione del leggero, del suono corrente, del jazz, del charleston, del valzer, sempre deformati, virati verso la dissonanza e la stratificazione politonale.

Qui il programma del concerto.

Qui il programma del festival Eterotopie nell’edizione 2013.

Inoltre, il sito di Eterotopie | altri luoghi.

La musica come cultura. L’esperienza di Marco Anzoletti, compositore trentino attivo tra Otto e Novecento. Se ne parla nella dodicesima puntata della trasmissione di Cosimo Colazzo e Daniele Torresan per Rai Radio Due

18 Giugno 2013
15:45a16:15

La musica come cultura, ricerca, analisi. L’esperienza di Marco Anzoletti, compositore trentino vissuto tra Otto e Novecento. Se ne parla nella dodicesima puntata della trasmissione condotta da Cosimo Colazzo e Daniele Torresan per Rai Radio Due. In onda martedì 18 giugno a partire dalle ore 15.45. La trasmissione, che è inserita nel palinsesto delle trasmissioni regionali per il Trentino, tratta, con la puntata di questa settimana, di un progetto di ricerca e produzione, promosso dal Conservatorio di musica di Trento, che ha avuto esito in un allestimento dell’opera “La fine di Mozart” di Marco Anzoletti, al Teatro Sociale di Trento, nel marzo 2011.

 

La trasmissione “Il cammino e l’evoluzione del Conservatorio di musica di Trento”, condotta da Cosimo Colazzo e Daniele Torresan ha trattato, in alcune puntate, di un interesse che il Conservatorio ha espresso, attraverso progetti e realizzazioni, nel campo della ricerca e della produzione musicale, che hanno riguardato il patrimonio storico del territorio.

L’indagine è avvenuta nel riferimento ad alcune figure chiave. Con la musica di Giacomo Gotifredo Ferrari e di Giancarlo Colò si è potuto entrare in contatto con la cultura musicale nel discrimine tra Sette e Ottocento. Tale cultura è stata osservata nella linea di impegno sull’opera, nei termini del gusto italiano e di scuola napoletana, attraverso il roveretano Ferrari. Inoltre è stata affrontata nella linea di impegno sulla musica strumentale da camera, di ispirazione viennese, con il rivano Colò. Se di questo si è trattato nella decima puntata della trasmissione, nell’undicesima si è passati al pieno Ottocento, che in Italia significa anche il dibattito intorno alla nazione e ai valori del Risorgimento. Si è parlato della romanza da camera, nell’idea di rinnovamento di Andrea Maffei, espressa in progetti e posizioni culturali, che hanno a che fare anche con il salotto De’ Lutti, cenacolo intellettuale attivo a Riva del Garda.

Nella dodicesima, e penultima puntata, della trasmissione, che andrà in onda martedì 18 giugno a partire dalle ore 15.45, su Rai Radio Due, si parla di Marco Anzoletti, e si passa a un periodo ulteriore, a cavallo tra Otto e Novecento.

Marco Anzoletti, trentino, studia e si perfeziona, per tre anni a Vienna. Integra, così, un’idea della musica come sviluppo di un linguaggio che deve avanzare, approfondire e conquistare nuovi valori. La sua idea di musica è nella direzione di una considerazione di essa nel più ampio alveo culturale. Deve veicolare valori di approfondimento, analisi, stare in contatto con le altre arti. E’ un’idea ispirata al mondo tedesco. Anche l’opera deve farsi interprete di un’idea per cui è spettacolo che ha a che fare con la dimensione del teatro. La musica si connette alle altre arti e trova un equilibrio con le esigenze del teatro.

Anzoletti ha scritto molte opere. Più in generale, il suo catalogo è molto vasto. Una delle sue opere è dedicata a Mozart, all’ultima fase della sua vita, quando i presagi della fine si fanno sentire e tutto si colora di un’ombra inquietante. “La fine di Mozart” è il titolo di quest’opera, scritta nel 1898, con libretto dello stesso compositore.

Sull’opera è stato realizzato dal Conservatorio di musica di Trento un progetto di ricerca e produzione musicale, che ha avuto esito nell’allestimento al Teatro Sociale di Trento, il 25 e 26 marzo 2011. Il progetto è stato coordinato da Mattia Nicolini, docente di canto, che ha prodotto un lavoro di revisione e curatela sull’opera a partire dal manoscritto.

Anzoletti intende offrire un omaggio alla figura di Mozart. Per lui è un modello di gusto musicale, e anche di considerazione della musica nella sua radice culturale. E’ genio, ma anche consapevolezza, senso alto della musica, come linguaggio che si esprime in quanto forma, architettura.

Anzoletti rappresenta Mozart nell’ombra di un crepuscolo, circondato da tensioni, da un senso di ansia, di angoscia. Così già nel Preludio, e poi nei suoi interventi.

Compare anche Beethoven, e un incontro tra i due. Scrivere un’opera su monumenti della storia musicale propone la possibilità di introdurre citazioni storiche nella trama musicale. E’ quanto fa Anzoletti, che innesta riferimenti, sia a Mozart che a Beethoven.

Inoltre l’opera possiede il senso dello svolgimento continuo, secondo articolazioni che sono regolate dal senso teatrale. La musica non può sostare, cercare le predilette regolarità. Deve adattarsi, invece, alla narrazione teatrale, stare in rapporto con essa. Il canto adatta ritmo e curve al profilo della parola. Si fa declamato. Il linguaggio musicale, pur esso, non è conciliante, e si addensa di cromatismi, differisce cadenze e simmetrie.

I personaggi sono sbozzati anche secondo certe formule fisse e convenzionali. Ad esempio, Beethoven è inquieto e titanico; quanto Mozart, invece, è fantasia, resistenza fanciullesca all’oppressione della vita. Tuttavia questi aspetti sono inseriti in un contesto e in un quadro di linguaggio che è avanzato, che presenta interessanti virate verso il modernismo.

Il Conservatorio di musica di Trento negli ultimi dieci anni ha espresso importanti valori di ricerca, nella produzione di attenzione e di impegno operativo concreto rispetto al patrimonio storico del territorio, che è stato portato a comunicazione pubblica estesa, grazie a una notevole capacità realizzativa. Sono state allestite opere, messe in campo pubblicazioni. “La fine di Mozart” si inserisce in questo quadro, divenendo un’impresa importante, anche per la difficoltà e l’entità dell’allestimento che è stato prodotto.

Il Trentino storico e la musica. Da Giancarlo Colò ad Andrea Maffei. Se ne parla nell’ambito dell’undicesima puntata del ciclo di trasmissioni dedicate alla storia e all’attività del Conservatorio di musica di Trento a cura di Cosimo Colazzo e Daniele Torresan per la sede regionale del Trentino della RAI.

11 Giugno 2013
15:45a16:15

Nell’undicesima puntata della trasmissione condotta da Cosimo Colazzo e Daniele Torresan, dedicata alla storia e alle attività del Conservatorio, in onda su Rai Radio Due martedì 11 giugno alle ore 15.45, si tratta della cultura musicale del territorio in prospettiva storica. Vengono alla luce tracce e percorsi di definizione storica della cultura e dell’identità del territorio, attraverso le vicende di alcuni autori significativi e delle loro opere.

Il Conservatorio di musica di Trento esprime un interesse evidente verso i nuovi linguaggi musicali, verso ricerche e produzioni che riguardano le musiche contemporanee intese in una declinazione flessibile e aperta, dalle musiche d’avanguardia alla musica jazz al rock di ricerca sino alle musiche applicate.

Accanto a questo, non manca tuttavia di un interesse che si rivolge ai repertori storici.

E’ il senso di alcuni progetti di ricerca, promossi dal Conservatorio di musica “Bonporti”, che hanno evidenziato alcune articolazioni della storia del Trentino, attraverso la chiave dell’indagine su alcune esperienze artistiche e intellettuali significative. Da Giacomo Gotifredo Ferrari a Giancarlo Colò ad Andrea Maffei a Marco Anzoletti: approfondendo l’opera di questi autori, l’esperienza che li ha riguardati, si individuano le linee di una storia che ha attraversato e formato la cultura, l’identità del territorio.

La trasmissione “Il cammino e l’evoluzione del Conservatorio di musica di Trento”, condotta da Cosimo Colazzo e Daniele Torresan, tratta anche di questi aspetti, e cioè di certe individuate esperienze storiche che, in ambito musicale, costituiscono un incrocio significativo dell’esperienza, un punto denso rappresentativo di una tendenza della cultura del territorio. La trasmissione, con la sua undicesima puntata, in programma martedì 11 giugno alle ore 15.45, su Rai Radio Due (per Trento frequenze MF2 93,7),  tratta dell’opera di Giancarlo Colò e della figura intellettuale di Andrea Maffei.

La puntata illustra un progetto di ricerca promosso dal Conservatorio “Bonporti”, che ha analizzato la figura e l’opera di Giancarlo Colò, compositore nativo di Riva del Garda, vissuto a cavallo tra Sette e Ottocento. La sua formazione avviene in direzione di Vienna, che costituiva il centro prevalente di formazione per la classe dirigente del Trentino. Veniva da una famiglia della piccola nobiltà. Studia la filosofia e la matematica, ma approfondisce anche lo studio della musica verso cui lo indirizza un sicuro talento. Studia alla scuola prestigiosa di Abrechtsberger. E’ in questi anni che produce una serie di opere strumentali che sono di molto interesse. Vi si respira il senso dell’attenzione della forma, della gestione elaborativa, analitica dei materiali tematici, secondo una linea di pensiero che è propria del mondo tedesco, che egli ha assimilato. Accanto a questa robusta strutturazione formale, specie nei tempi più lenti, s’insinuano seduttive cantabilità che sono d’impronta pre-romantica.

A quest’autore, e soprattutto alla sua produzione strumentale, è stato dedicato un progetto di ricerca, coordinato da Corrado Ruzza, che studia il repertorio delle produzioni musicali storiche nell’area rivana e del Garda trentino. Questo progetto ha avuto esito nella produzione di un CD monografico dedicato alla musica da camera di Giancarlo Colò.

Un altro progetto di cui si tratterà nella puntata, anche in questo caso coordinato da Corrado Ruzza, è quello dedicato a un altro momento storico importante in Trentino, che ha visto una fervida presenza di attività in area rivana. Siamo nell’Ottocento, e un luogo importante di incontro culturale è la villa De’ Lutti a Riva del Garda, sede di un salotto tra i più ambiti. Vi si ritrovavano le menti più brillanti dell’epoca, e la possibilità di un contatto con gli ambienti più avanzati dell’espressione intellettuale, non solo in Trentino, giacché vi convergevano artisti e studiosi anche da altre regioni.

Nel salotto, una figura di riferimento, di assoluto prestigio, è Andrea Maffei, trentino di origini, ma intellettuale molto in vista nella Milano intellettuale e culturale dell’epoca, e con una influenza e una presenza che possiamo dire di respiro europeo. Si è formato alla scuola classicista di Vincenzo Monti. E’ poeta di sorvegliata ispirazione, ma di ampie visioni, supportata da una cultura vastissima, che si alimenta delle espressioni più affinate e avvertite delle letterature straniere, di cui è stato traduttore.

Un intellettuale, quindi, militante. Per sviluppare l’arte italiana in direzione di un contatto, di un intreccio con le dinamiche culturali europee. Per muovere lo sguardo, allargandolo dalla prestigiosa storia della cultura italiana, anche orizzontalmente, in dimensione contemporanea, verso quanto sommuoveva l’Europa, introducendo fortemente l’arte, la letteratura dentro lo spazio del confronto politico.

Nel salotto si rende attiva, anche attraverso la figura carismatica di Maffei, un’istanza rivolta agli ideali risorgimentali, di riunione dell’Italia in nazione, di riscatto dalla presenza straniera, che si faceva sentire anche in Trentino.

La musica riveste importanza sia per Maffei che nel salotto De’ Lutti. Maffei è stato consulente di Verdi per Machbet. Nel salotto la musica è presente. Si fa musica. Direttamente, molti degli invitati animano momenti musicali. Come spesso accade si eseguono romanze da camera. Maffei riunisce una serie di compositori proprio per un esperimento in questo senso. Intende animare il genere di maggiori qualità artistiche e culturali, fuori dal semplice intrattenimento. Egli avrebbe fornito testi adeguati, ricercati nei valori poetici e culturali. Una serie di compositori appositamente invitati avrebbe scritto la musica per le romanze, ponendo attenzione ai testi, ricercando i valori di un’integrazione artistica organica, per un genere che andava rinforzato proprio di intenzione artistica. L’operazione procede, ha anche un esito editoriale presso Ricordi.

Di tutto ciò si dà conto nel CD che è stato pubblicato dal Conservatorio di musica “Bonporti” in rapporto al progetto promosso. La trasmissione illustra quanto realizzato, i temi sollevati attraverso le ricerche promosse dal Conservatorio sulla storia musicale del territorio, che ha un centro molto attivo e fecondo – come abbiamo visto – in area rivana, anche attraverso alcuni ascolti ripresi sia dal CD con le musiche strumentali di Colò, sia dal CD con le arie da camera su testi di Andrea Maffei.

A partire da qui il collegamento al sommario delle tredici puntate della trasmissione.

Uno studio di Cosimo Colazzo su musica e potere, su musica e censura, e sul linguaggio compositivo di Galina Ustvolskaya, all’Università di Copenaghen

6 Giugno 2013a8 Giugno 2013

Uno studio di Colazzo su musica e potere, su musica e censura, e sul linguaggio compositivo di Galina Ustvolskaya, compositrice di Leningrado, che ha vissuto il clima della censura staliniana delle arti e della cultura, viene presentato il prossimo 7 giugno all’Università di Copenaghen, nell’ambito di un importante Convegno internazionale dedicato ai temi della creatività musicale e della censura politica. Nella sua ricerca Colazzo evidenzia il rapporto perverso che si crea tra censura e creatività nel linguaggio ridotto, fatto di ossessive ripetizioni, e a volte esploso in violenti cluster, della compositrice.

“La donna col martello”. Con questa immagine è stata anche sintetizzata l’esperienza musicale e creativa di Galina Ustvolskaya, compositrice di Leningrado, nata nel 1919 e morta in tarda età nel 2006. Allieva di Dmitrij Shostakovich, si è poi allontanata dall’ex maestro, di cui non ha condiviso la tendenza alla manipolazione dei linguaggi, alla stratificazione e all’occultamento del proprio personale linguaggio, della verità artistica, per evitare scontri problematici con il potere sovietico.

Della musica di Galina Ustvolskaya si occupa uno studio di Cosimo Colazzo (docente di Composizione al Conservatorio di Trento e membro dell’équipe del CESEM, centro di ricerca dell’Universidade Nova di Lisbona) dal titolo “Censorship and Creativity: Ustvolskaya’s compositional language” (Censura e creatività: il linguaggio compositivo di Galiana Ustvolskaya), che viene presentato il prossimo venerdì 7 giugno all’Università di Copenaghen, dove, dal 6 all’8 giugno si tiene un importante convegno internazionale dal titolo “Researching Music Censorship conference”

Il Convegno è organizzato da una rete internazionale della ricerca, che si occupa dei temi dei rapporti tra musica e potere, tra musica e censura. Questa rete riunisce soprattutto università e ricercatori dell’area nord-europea, fondamentalmente da quattro paesi, e cioè Danimarca, Finlandia, Svezia e Norvegia. Ma è allargata anche ad altri autori e ricercatori che da altri ambiti hanno sviluppato studi sui temi che costuiscono il focus del progetto.

In questo senso si colloca l’intervento di Colazzo, che tra i suoi interessi di studioso annovera anche quelli dei rapporti tra musica e società, tra musica e politica. Inoltre tra gli autori che tratta, dal punto di vista analitico-compositivo, e anche come interprete, c’è la Ustvolskaya, rispetto a cui risulta necessario approfondire le questioni dei rapporti tra arte e politica in epoca staliniana e più ampiamente sovietica.

Shostakovich costituisce l’esempio di un autore che ha subito il peso della censura (in due occasioni soprattutto, negli anni ’30 e negli anni ’40), venendo accusato, per la sua musica, di essersi allontanato dallo spirito nazionale e dalla cultura del popolo sovietico. Egli ha sviluppato, in queste occasioni, che erano mortalmente rischiose per lui (dietro l’angolo c’era il carcere, il gulag), la capacità di introiettare le accuse, di fare ammenda, sviluppando nel contempo un linguaggio che si innerva della capacità della stratificazione, dell’occultamento. In superficie certi aspetti prediletti dal potere, ma poi contesti che li rivelano nel loro carattere artefatto, e quindi l’attivazione dell’ironia e del sarcasmo.

Ustvolskaya, che è stata allieva ammirata di Shostakovich, si allontana presto dal maestro. Non condivide quest’atteggiamento, che gioca sul piano della duplicità, della doppiezza. La sua moralità è compatta e assoluta. L’arte è dedizione assoluta. L’individuo è solo. La solitudine sa presentare la possibilità di un linguaggio autentico, che l’artista deve ricercare per tutta la vita. Perciò ha ammesso poche opere nel suo catalogo. Le altre, anche quelle di occasione, scritte per sopravvivere (e non mancano di celebrative del potere sovietico), le ha distrutte.

Il suo linguaggio, in questa tensione utopica verso l’assoluto e la verità, si fa essenziale. E’ molto ridotto, poverissimo, scarno. C’è una forte censura rispetto a ogni espressività, a ogni mediazione, che possa allontanare dal centro utopico della verità ricercata. In questo senso – sostiene lo studio di Colazzo – si crea un transito paradossale tra la censura politica e sociale del contesto della vita ordinaria della Ustvolskaya (che è sempre rimasta nella sua Leningrado, e solo in tarda età ha viaggiato in qualche rara occasione all’estero, per seguire qualche concerto con sue musiche), e la sua creatività, che continuamente mette in discussione ogni acquisizione, per ridurla, relativizzarla. C’è una forte censura, da parte della compositrice, dell’io e della sua espressività. Perché l’obiettivo è sempre oltre. Evita, per questo, ogni ridondanza, ogni compiacimento. Ripete soprattutto. L’ossatura delle figure è scheletrica. Il suo linguaggio diventa quasi petroso, quasi afasico nella rinuncia a ogni espressività che veli il senso ultimo delle cose. La sua musica è continuamente interrogativa. Per questo attinge a cluster violentissimi e ribaditi senza sosta, sin quasi a generare un rifiuto del tempo, dell’ascolto. E’ un’esperienza limite, che tiene in un paradossale rapporto la radice russa del nichilismo e una vocazione spirituale verso l’Altro radicale, il Dio che ci è ignoto e che solo in queste forme, assolutamente non logiche, non mediate, può essere raggiunto.

A partire da questo collegamento:

Il programma generale del Convegno.

Gli abstract di tutti gli interventi, tra cui quello di Colazzo.