Un convegno sul tema della dissonanza, affrontata da varie prospettive. E’ quanto accade con il convegno 2020 di DIMMI, Dizionario Musicale Multidisciplinale integrato, che si tiene integralmente online su piattaforma zoom nei giorni di venerdì 27 e sabato 28 novembre 2020, organizzato da Conservatorio di Trento e Università di Trento, All’interno del convegno, una relazione di Cosimo Colazzo, dal titolo “Tempo e dissonanza in Morton Feldman”, in programma nel pomeriggio di venerdì 27.
Di seguito l’abstract di Cosimo Colazzo per il suo intervento, e sotto di esso i link a locandina e brochure della manifestazione.
“Morton Feldman (1926-1987), formatosi nella New York delle avanguardie moderniste anni ’50-‘60 – di Cage, Brown, Wolff -, è partecipe del contesto più ampio del variegato mondo dell’espressionismo astratto.
“Nell’arco di una produzione che si estende dagli anni ’50 agli anni ’80 si riconoscono alcuni tratti del suo linguaggio musicale. Soprattutto esclude, evita gli stati integrati del discorso musicale, l’orientamento della forma, un utilizzo delle testure contrappuntistiche come fattori elaborativi e di sviluppo del tempo musicale.
“A Feldman interessa il suono, da cogliere in una condizione di unicità e singolarità. In una sua fenomenologia anche molto ridotta e semplificata, il suono è un universo complesso fatto di formazione, risonanza, decadimento. Per individuare questa realtà attiva procedimenti di semplificazione, sottrazione, svuotamento, riduzione al silenzio. Utilizza la ripetizione in funzione certamente anti-narrativa e contro-elaborativa. Contrasta il discorso orientato, lo sviluppo e tutte le connesse retoriche.
“In un tale contesto, come interviene la dissonanza? Ritroviamo in alcune opere (specie le più tarde) l’utilizzo di pattern, ma non in contesto minimalista: nessuna macchina ritmica in primo piano, nessuna concessione a diatonismo modale e consonanza. In tutta la sua opera privilegia quella che saremmo portati a definire “dissonanza”, che in lui assume forme molto specifiche e personali.
“Il suono di Feldman non è conciliante, indica una mancanza, un tentativo, una domanda, un’irraggiungibilità. È discorso che si autosospende alla ricerca di un’ascesi e di un’altra dimensione.”
Tempi di pandemia, emergenza sanitaria, e di resilienza assoluta per il mondo dello spettacolo, della musica. Così può accadere che anziché desistere, appunto, si resista, e allora un cartellone articolato, complesso, con tantissime nuove produzioni, numerosi artisti, veda comunque la luce, anche in tempi così difficili. Non in presenza, ma in streaming. E’ il caso del 57. Festival “Nuova Consonanza” a Roma. Festival glorioso, dotato di un prestigio assoluto, che viene da decenni di ricerca e militanza nel segno delle musiche nuove, attraversato, nel tempo, dai nomi internazionali più importanti. “Laborintus 2.0” il titolo-traccia che si è voluto dare a quest’edizione della manifestazione che si svolgerà dal 27 novembre al 20 dicembre prossimi: a dire la complessità della ricerca e anche del mondo attuale, che non sembra offrire facili approdi, ma impone di mettersi in cammino, di ricercare, di trovare una strada. All’interno del festival, domenica 29 novembre, alle 21, è in programma, in streaming per il pubblico (l’ingresso è libero) sul canale youtube di Nuova Consonanza (https://www.youtube.com/channel/UC1GaFBR-MM0j_RYMvNuUbnw), la nuova opera di Cosimo Colazzo, dal titolo “Francisca”, su libretto di Giuliana Adamo liberamente ispirato a un racconto di Maria Attanasio pubblicato da Sellerio.
Un’opera che tratta del tema dell’identità, ricercata, trovata, in un equilibrio tutto personale (Francisca è donna, ma opera pubblicamente come un uomo), che la società fatica ad accettare; della sanzione morale che presto raggiunge la protagonista, anche sotto forma di un processo intentato dall’Inquisizione. Una drammaturgia tra i personaggi e interna ai personaggi evolve esibendo contrasti, perdite di sé, dubbi, risoluzioni. Il tutto attraverso il canto di un baritono (L’Inquisitore), di un soprano (Francisca), di una voce recitante (che lega vicende, commenta, suscita riflessioni), e di un quartetto di sassofoni. Un cast d’eccezione per l’opera, con i cantanti Roberto Abbondanza, Patrizia Zanardi, la voce recitante dell’attore Massimo Venturiello, e il suono strumentale di MP Saxophone Quartet.
Francisca – dicono le cronache di fine Seicento della sicula Caltagirone – è donna, ma si comporta da uomo, fa lavori da uomo. Presto le malelingue la perseguitano. Di più, nasce la diceria che sia strega. Finisce davanti al Tribunale dell’Inquisizione. E qui non può opporre che le ragioni di una vita umile che ha scelto quello strano modo di esistere per ragione di necessità. Perso il marito, così ha potuto lavorare, d’altra parte bravissima nei lavori dei campi. L’Inquisitore è la sentenza dura del potere, la sanzione morale contro il disordine dei comportamenti che non possono essere ammessi. Eppure una luce s’insinua nell’Inquisitore, l’idea che Francisca o Francisco non facciano nulla di male in effetti. In quella forma hanno trovato un posto nel mondo, e vi danno un loro contributo. L’Inquisitore, preso in un travaglio critico-emotivo, dall’alto del suo potere stabilirà che Francisca possa andare assolta.
La musica è prevalentemente sillabica, a disegnare il potere che articola, misura, assegna valore. Il canto dell’Inquisitore è ritmico, incisivo, sillabato, E’ un’istanza morale che sa, conosce, a cui tutto deve ricondursi. E’ principio di ordine. La donna non può misurarsi con questo statuto del potere. Protesta la sua innocenza, ma sente anche di stare perdendosi, di essere ormai presa in un meccanismo più grande che farà di lei un esempio in negativo: ciò che non può essere ammesso, ciò che va disperso perché fattore di disordine. Presagi di morte la raggiungono. Il suo canto non sa misurarsi con la ragione dura e angolosa dell’Inquisitore. E’ canto che liricamente si apre al dolore, per ripiegarsi, infine rendersi ossessivamente ribadito, lamento funebre in un intorno di macchia sonora.
Ma la sua condizione per cui è diversa ma anche innocente, inerme di fronte a un mondo che vorrebbe sventagliarla via, costituisce una domanda per l’Inquisitore. Perché l’accanimento? Perché l’autorità deve essere sorda al richiamo degli individui, di coloro che sono ai margini ma hanno un diritto di voce? L’Inquisitore è colto, ha letto Bruno, legge i nuovi filosofi preludi all’illuminismo alle porte. Il canto dell’Inquisitore resta rovello critico anche quando emotivamente si accende nella spinta a porsi in dubbio. Infine la sentenza, in un intorno placido che è un’onda continua di suono: Francisca è assolta. Nessuna retorica vittoria alla fine. Anzi il suono strumentale si dirige al grave e al silenzio, come a significare che il mondo resta traversato da contraddizioni e ingiustizie, e dal caso, anche se talvolta s’accende della luce del coraggio e del bene.
Molti i temi di quest’opera: diversità, identità di genere, rapporto con il potere che controlla e giudica, con la società che a volte comprime e annulla gli individui quando diversi dal modello prevalente. E canta la necessità della tolleranza, che illumina variabilmente gli individui, secondo le loro vitali differenze.
Francisca è donna, ma si traveste da uomo per poter lavorare nei campi, dove è di un’abilità magistrale. Deve sopravvivere dopo la morte del marito. Volendo prendere nelle proprie mani il proprio destino, si fa uomo, perché così può essere indipendente, cercare lavoro, vivere del proprio lavoro. Siamo alla fine del Seicento. Viene scoperta, portata davanti all’Inquisitore. Che istruisce un processo, la interroga. La scopre nella sua vulnerabilità di donna, che ha scelto ciò che ha fatto per condurre una vita normale, sottrarsi a un destino di serva, prostituta o cos’altro. La diversità è stata la risorsa per darsi una dignità. L’Inquisitore – siamo alle soglie dell’illuminismo e la stessa Chiesa ne è tramata – la assolve e le consente di vivere autonoma e protetta per il futuro.
Una storia che mette in scena l’identità di genere, che ha a che fare con percezione di sé e percezione sociale. Portata su una scena d’opera, con la musica di Cosimo Colazzo.
In otto scene, un’ora e mezza di musica, gli scontri tra due opposti – l’Inquisitore e Francisca, il potere e l’inermità dell’essere femminile e del diverso, dell’innocente: la pressione ritmica, l’acuto inveire dell’uno, le proteste d’innocenza, il chiudersi in sé, il lirico ricordo, il perdersi in un ossessivo lamento prefigurante la morte vicina. Ma anche il mutare del convincimento dell’Inquisitore, i dubbi, lo scontro dentro di lui, l’affiorare delle parole semplici e vere di Francisca, e quindi la risoluzione di mandarla assolta. Una musica che sensibilmente segue la vicenda e le navigazioni interiori dei personaggi
Programmata l’anteprima dell’opera a Rovereto, con cantanti Roberto Abbondanza e Patrizia Zanardi, la voce recitante di Maria Chiara Serafini e l’MP Saxophone Quartet – Emanuele Dalmaso, Mattia Grott, Sveva Azzolini, Simone Dalcastagné -, alla Sala Filarmonica il 3 novembre, ore 20.30.
La prima assoluta a Roma, presso il Teatro di Villa Torlonia, per il Festival Nuova Consonanza, alle 20.30, stessi interpreti musicisti e canto, e la voce recitante di Massimo Venturiello.
Il compositore Cosimo Colazzo è autore di una vasta produzione, che spazia dalla musica strumentale (da camera, per orchestra) al teatro musicale. Quest’anno porta sulle scene due nuove recenti opere, che verranno presentate nelle prossime settimane, in prima esecuzione assoluta: un’opera comica, dal titolo La locandiera, Musicape e il giovin signore (il prossimo martedì 6 ottobre ad Ascoli Piceno per il festival Nuovi Spazi Musicali); e un’opera seria, dal titolo Francisca (il 15 novembre 2020 per il Festival Nuova Consonanza a Roma).
Un periodo proficuo e produttivo,
quindi, che per varie congiunture si qualifica tutto nel segno dell’opera. Le tematiche trattate, nella diversità
dell’intonazione – comica e buffa in un caso, seria nell’altro, – sono
stringenti per noi oggi: il populismo,
sottoposto a un umorismo sferzante nell’opera comica; l’identità di genere, che non sempre è riconosciuta, anzi suscita
reazioni di distanziamento se non intolleranza, quando diverge da ciò che è
ritenuto normale e accettabile: come accade nell’altra opera, Francisca.
Qui ci soffermiamo sull’appuntamento del prossimo martedì 6 ottobre. Alle ore 20.30, all’Auditorium Neroni ad Ascoli Piceno, per la 41.a edizione del Festival Nuovi Spazi Musicali (che si avvale della direzione artistica della compositrice Ada Gentile) viene presentata al pubblico in prima assoluta, La locandiera, Musicape e il giovin signore, opera comica di Cosimo Colazzo su libretto di Giuliana Adamo. Sferzate d’ironia, funambolici giochi di parole, derive surreali, per ridere, beneficamente ridere delle maschere grottesche del populismo di oggi. Un basso (il giovin signore: Stefano Stella), un soprano (la locandiera: Annalisa Di Ciccio), un’attrice (Musicape: Pamela Olivieri). E l’ensemble in residence del Festival, composto da: Sabrina Gentili (pianoforte); Gabriele Boccio (violoncello); Giusy Di Biase (sax contralto); Riccardo Sanna (bayan); Luca Ventura (percussioni)
“L’opera – dice il compositore
Colazzo – presenta una satira politica di estrema attualità su certo nostro
populismo da spiaggia. Il giovin signore
adombra un personaggio molto presente a cronache e social. La locandiera, che possiede lo spirito
acuto dell’intelligenza popolare, gli tiene testa: sembra assecondarlo, ma per
prendersene gioco. Musicape (nome
che, nell’idea dell’autrice del libretto, Giuliana Adamo, richiama volutamente
un personaggio favolistico della pittrice Maria Lai, la sua sensibilità e il
suo impegno sociale) è personaggio che ronza intorno alle azioni, le commenta attentissima a tutto, curiosa e
pungente. Giochi linguistici, nel testo,
nella musica: associazioni, innesti, scivolamenti, finestre di citazioni. C’è
il gusto dello spiazzamento, ma anche un gioco molto serio, di riflessione su
un mondo che ci è prossimo e vicino.”
Nella stessa serata, insieme con
l’opera di Colazzo, viene presentata un’altra opera da camera breve, sempre
comica, di Domenico Turi, dal titolo
Non
è un paese per Veggy-Gluten free, su testo di Federico Capitoni: storia di un regista vegano e ambientalista
sopraffatto da un intorno tutto votato ai consumi antiambientalisti e
carnivori.
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Cosimo Colazzo, La locandiera, Musicape e il giovin signore. Opera comica su libretto di Giuliana Adamo. Festival Nuovi Spazi Musicali, Ascoli, 41a edizione Martedì 6 ottobre 2020, ore 20.30, Auditorium “Neroni”, Ascoli Piceno Prima esecuzione assoluta.
Al MUSE di Trento, martedì 8 settembre alle 18.30, si parla di musica e impegno sociale, attraverso un caso di studio nel Novecento musicale, quello di Fernando Lopes-Graça, compositore portoghese che ha contrastato fieramente per tutta la vita la dittatura di Salazar, autore di un’opera che trae linfa dai repertori della musica contadina per elaborare un linguaggio personale che amplia la modalità originaria verso innesti dissonantici, polimodalità, intermodalità. Offre così una voce moderna e progressiva a quel popolo contadino che il regime fascista tacita o fornisce della sola voce della propaganda. Di questo si occupa il libro pubblicato recentemene da Cosimo Colazzo per i tipi della casa editrice LIM: “Musica e impegno. L’antifascismo e l’opera di Fernando Lopes-Graça”. Del libro, della figura e dell’opera di Lopes-Graça si parlerà nell’occasione con l’autore e con lo scrittore e musicologo Giuseppe Calliari. Ci sarà anche un momento musicale, con l’esecuzione di alcune opere di Lopes-Graça: Cinco Nocturnos (Cosimo Colazzo al pianoforte), Prelúdios (Maria Rosa Corbolini al pianoforte); mentre Colazzo e Corbolini eseguiranno a quattro mani il terzo quaderno delle Melodias Rústicas Portuguesas. Necessaria la prenotazione. Su eventbrite: https://www.eventbrite.it/e/biglietti-la-cultura-in-giardino-tra-scienza-musica-e-filosofia-118139092205
Un editoriale di Cosimo Colazzo, apparso su L’Adige del 14 luglio 2020, sul tema dei demagoghi populisti che sfidano la pandemia, espongono il proprio corpo ai media, per mostrarlo superiore, intangibile. Il corpo naturale si sovrappone a quello politico e cerca un rapporto di identificazione carismatica totale con il corpo sociale.
I bimbi che si recano alla loro scuola che li accoglie nuovamente, dopo la crisi più acuta della pandemia, tenuti per mano dai genitori, tornano ad aprirsi al mondo. Riscoprono, nel percorso che li riconduce a scuola e dentro le mura della scuola, quella che Michel Serres chiama la terza persona. È un continuo andirivieni da sé verso l’altro. Vale per i piccoli della scuola dell’infanzia, ma vale anche per gli adulti. Abbiamo bisogno dell’esterno, di concreta geografia, di vissuta meteorologia.
Un articolo di Cosimo Colazzo per L’Adige, martedì 23 giugno 2020.
Un libro dedicato a El Sistema, vale a dire al sistema di formazione musicale e animazione musicale sul territorio, pensato da José Antonio Abreu, apprezzato da Claudio Abbado e Simone Rattle, basato sulle esperienze di musica d’insieme, da svolgere in coro, gruppi strumentali, orchestre giovanili. A partire da Abreu, nel libro una riflessione su musica, ascolto, pratiche musicali, pedagogia, relazioni con la comunità, ruolo della performance. Vi è compreso uno scritto di Cosimo Colazzo, che analizza El Sistema cercando di relativizzare il mito attraverso un costante richiamo a precisi contesti storici, sociali, economici che ne hanno favorito e sostenuto nascita e espansione, anche in proiezione internazionale.
Un articolo di Cosimo Colazzo pubblicato dal quotidiano “L’Adige” (giovedì 21 maggio 2020) dedicato al tema dell’arte, della metafora del virus, che ha incontrato molta fortuna dagli anni ’80 del secolo scorso in poi nel discorso dell’arte e che oggi acquista una strana, inquietante attualità.